Presentando il PNRR, Mario Draghi ha detto: “Tutto il piano è un investimento sul futuro e sui giovani. Ai giovani dobbiamo garantire welfare, casa e occupazione sicura”. Una sfida non facile, non solo per il contesto socioeconomico indebolito dalla pandemia, ma anche per la storica incapacità di garantire piena occupazione ai giovani, unita all’impossibilità di definire esattamente quali saranno le professioni del futuro.
Molti dei nuovi nati faranno mestieri che ancora non esistono: un problema o un’opportunità?
Per cogliere al meglio questa occasione, serve prima di tutto cambiare l’approccio di sistema, che negli ultimi decenni si è limitato a una visione di breve periodo. Al contrario, è necessario introdurre la cultura del progetto come strumento per anticipare il futuro. In questo caso, il progetto di Paese che vogliamo costruire e lasciare ai nostri figli.
I dati impietosi dicono che l’Italia rimane il fanalino di coda dell’Europa: conta oltre due milioni di ragazzi tra 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione (i giovani così detti “NEET”, Neither in Employment or in Education or Training); ha un tasso di laureati tra i più bassi del continente e indagini recenti ci dicono che la didattica a distanza mette a rischio di abbandono scolastico un minore su quattro.
Intervenire quanto prima sulla valorizzazione del capitale umano è ineludibile: la formazione deve tornare ad essere, come nella ripresa del secondo dopo guerra, un’opportunità e un ascensore sociale.
Il PNRR è certamente un volano e una possibilità unica per riuscire in questo intento. 32 miliardi di euro per il comparto della scuola, di cui circa 13 a favore dell’università, serviranno, se ben investiti, a mettere in atto processi e riforme strutturali. Misure che puntano a riformare il Paese e a contraddistinguere l’unicità del saper fare italiano nel mondo. La spinta in avanti della tecnologia, l’accelerazione imposta dal Covid-19, il bisogno dell’economia di tornare alla globalizzazione pre-pandemica richiedono un ripensamento profondo ma nel contempo un'implementazione delle azioni veloce ed efficace. Una prova che non spetta solo gli enti preposti, la scuola e l’università, ma anche alle imprese e ai così detti corpi intermedi, chiamati a tessere una tela sempre più stretta tra i vari attori della società civile e del non profit.
Alcuni aspetti del cambiamento in atto nel mondo del lavoro e della formazione ci sono oramai chiari. Sappiamo per certo che le competenze digitali saranno la chiave di volta per ogni professione dei prossimi anni. Tant’è che nel piano inviato a Bruxelles, le materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) godono di una maggiore attenzione all’interno dei curricula di tutti i cicli scolastici con attività e contenuti pensati per potenziare le conoscenze in ambito matematico, fisico e informatico. Il tutto incentivando gli aspetti legati alla parità di genere e all’inclusione in ambiti professionali di alto profilo, non necessariamente tecnici.