La musica: alfabeto universale di rigenerazione

Articolo di Umberto Battegazzore, Maestro concertista e pianista

1 luglio 2021

Vivaldi è rock. Non c’è molto da aggiungere. Le differenze principali tra l’ascoltare la Primavera di Vivaldi oggi e l’ascoltarla nelle sue prime esecuzioni attorno alla prima metà del 1700? Il fortissimo entusiasmo e trasporto che pervadeva gli interpreti completamente assorbiti dalla ritmicità e dalla novità dei fraseggi, le leggere dissonanze di strumenti che non erano perfetti e che avevano spesso leggere stonature, lo spirito di un compositore così avanti sul suo tempo da risultare quasi reazionario ai suoi contemporanei.

La musica di Vivaldi ricerca e risolve continuamente piccoli contrasti, inventando ritmi e melodie inconsuete. Inventa e reinventa se stessa.

Vivaldi gioca con il pubblico e gli propone un gioiello che sembra a prima vista semplice, ma che nasconde multisfaccettate complessità e un dialogo continuo tra gli strumenti che lo eseguono. Se c’è qualcuno, nella storia della musica classica ad essere “rock”, quello è Vivaldi. Seguito da J.S.Bach, che aveva ascoltato e amato la musica del compositore veneziano. Anche il tedesco aveva uno spirito, diciamo moderatamente reazionario, forse più misurato dalla sua teutonicità, capace di introdurre piccole variazioni, all’inizio dei suoi spartiti, che poi sapeva far diventare il tema principale, senza che nessuno riuscisse o riesca ad oggi ad avvertire il passaggio tra un tema e l’altro, in una rincorsa e un dialogo continui. Il contrappunto di Bach, l’insieme delle voci che recitano una partitura, genera una spinta all’innovazione, giocando fra una sterile ripetizione e la variazione che genera il cambiamento, anche attraverso la dissonanza. Le pagine di Bach sono pura matematica, che parte dalle basi, mostrando e giocando prima con le operazioni più semplici, fino ad arrivare agli integrali e le derivate più complesse, alle astrazioni più ardite.

Opere cristalline che hanno dentro sè leggere tracce di colore che, sviluppandosi autonomamente, dal basso, rigenerano l’insieme facendolo diventare qualcos’altro.
La musica: alfabeto universale di rigenerazione
La musica è del resto generazione continua, è flusso ininterrotto, è il legame più forte tra gli uomini e la natura, è essa stessa strumento di rigenerazione.

Rigenerazione non solo nel suo fraseggio classico che comprende un momento di apertura seguito da uno svolgimento e da un finale che risolve i temi e ci riconnette con noi stessi. La musica è rigenerazione nella misura in cui le sue note fanno parte di un alfabeto universale in cui le parole sono sempre nuove, ad ogni esecuzione, ad ogni concerto.

Il gioco della rigenerazione avviene in un bilanciamento continuo tra una melodia conosciuta e la novità introdotta talvolta anche dal caso. Le dissonanze e le pause tra una nota e l’altra che il singolo interprete introduce, non sono l’esito, ma lo strumento per scardinare le credenze e disinnescare ciò che ci aspettiamo, generando nuove prospettive e creando nuove aspettative. Per questo la musica o è dal vivo o non è. 

Una musica che in questi mesi è mancata, chiave di ogni rigenerazione possibile, essa stessa strumento di rinascita e di creazione. Una musica che deve tornare a pervadere le piazze e le strade, una musica che dà anima alle storie degli uomini, una musica che rigenera il tempo e gli spazi. Ma tutto sembra indicare che stiamo allontanandoci da una sorta di grammatica della musica, così radicata nella nostra tradizione e ora relegata a un’occasione sprecata. Lo vediamo con le classi di insegnamento della musica nelle nostre scuole primarie e secondarie, lo vediamo con lo scarso interesse, a parte qualche istituzione illuminata, nel far conoscere e condividere un tesoro scritto nel nostro DNA, che tutti vogliono difendere ma che pochi vogliono ascoltare.

La musica: alfabeto universale di rigenerazione
Ogni ‘messa in scena’ è rigenerazione

La musica ci porta alla rigenerazione attraverso due strade che si allontanano l’una dall’altra appena le si imbocca. La musica apollinea e quella dionisiaca. Una partizione che non corrisponde alla nostra divisione tra musica alta e musica popolare, divisione cui comunque non credo.

Corrisponde invece a due vie che ha la musica per arrivare a noi. Passando dal cuore e dagli elementi irrazionali e più legati alla terra, di Dioniso, oppure passando dal cervello, più vicino al cielo e alla conoscenza razionale di Apollo.

Rigenerazione attraverso la lira o attraverso il flauto, attraverso i ritmi o grazie alle melodie? Attraverso il rock o la musica lirica? Ecco per me la musica cosiddetta ‘alta’ è quella che riesce a compenetrare i due elementi, portandoli in un dialogo creativo, in un confronto tra cuore e cervello.

Ed è proprio attraverso questo dialogo tra elementi così lontani che la musica diventa rigenerazione anche per l’ascoltatore. Rigenera in quanto riesce ad accompagnarci in un non tempo, tessendo l’immagine in trasparenza di noi stessi.

La musica ci porta a sospendere il giudizio e ci ingaggia in una risalita verso gli elementi più puri e lontani dalla quotidianità. La musica ci distrugge e ci ricrea in una singola nota.

Tornando alla musica classica abbiamo esempi magnifici in questa direzione. Vivaldi e Bach, certamente, ma anche altri compositori che hanno saputo condensare nella loro opera i diversi approcci, dionisiaco e apollineo, portandoli ai loro più alti esiti. Penso all'impressionismo con Ravel e Debussy, ma anche al romanticismo italiano, a Puccini e a Verdi, penso al “mio” Lorenzo Perosi, compositore italiano la cui opera l’opinione pubblica sta riscoprendo solo ora, esempio vissuto di continua ricerca di rigenerazione, forse anche delle proprie conflittualità, attraverso le proprie opere.

 
 
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