Vivaldi è rock. Non c’è molto da aggiungere. Le differenze principali tra l’ascoltare la Primavera di Vivaldi oggi e l’ascoltarla nelle sue prime esecuzioni attorno alla prima metà del 1700? Il fortissimo entusiasmo e trasporto che pervadeva gli interpreti completamente assorbiti dalla ritmicità e dalla novità dei fraseggi, le leggere dissonanze di strumenti che non erano perfetti e che avevano spesso leggere stonature, lo spirito di un compositore così avanti sul suo tempo da risultare quasi reazionario ai suoi contemporanei.
La musica di Vivaldi ricerca e risolve continuamente piccoli contrasti, inventando ritmi e melodie inconsuete. Inventa e reinventa se stessa.
Vivaldi gioca con il pubblico e gli propone un gioiello che sembra a prima vista semplice, ma che nasconde multisfaccettate complessità e un dialogo continuo tra gli strumenti che lo eseguono. Se c’è qualcuno, nella storia della musica classica ad essere “rock”, quello è Vivaldi. Seguito da J.S.Bach, che aveva ascoltato e amato la musica del compositore veneziano. Anche il tedesco aveva uno spirito, diciamo moderatamente reazionario, forse più misurato dalla sua teutonicità, capace di introdurre piccole variazioni, all’inizio dei suoi spartiti, che poi sapeva far diventare il tema principale, senza che nessuno riuscisse o riesca ad oggi ad avvertire il passaggio tra un tema e l’altro, in una rincorsa e un dialogo continui. Il contrappunto di Bach, l’insieme delle voci che recitano una partitura, genera una spinta all’innovazione, giocando fra una sterile ripetizione e la variazione che genera il cambiamento, anche attraverso la dissonanza. Le pagine di Bach sono pura matematica, che parte dalle basi, mostrando e giocando prima con le operazioni più semplici, fino ad arrivare agli integrali e le derivate più complesse, alle astrazioni più ardite.