“Più benessere” nel carrello della spesa

Così gli italiani hanno cambiato i consumi dopo la Pandemia

a cura di Rosella Redaelli

15 settembre 2021

Tutti ricordiamo l’assalto agli scaffali di farine e lieviti nel primo lockdown. Una passione per la cucina casalinga che è svanita in fretta e già nel secondo lockdown gli italiani hanno scelto piatti pronti, possibilmente consegnati a domicilio. Sedici mesi di pandemia si possono leggere anche osservando il carrello della spesa, lente di ingrandimento dei cambiamenti sociali.

Ci aiuta in questa analisi Armando Garosci, coordinatore della Filiera Largo Consumo di Assolombarda e direttore del mensile di economia e del retail Largo Consumo.

Come ha inciso la pandemia sui consumi?

Siamo effettivamente partiti da una dimensione da “Day after”, riempiendo le dispense di conserve, pasta, prodotti a lunga durata che hanno registrato un’impennata nelle vendite. Poi c’è stata una normalizzazione degli acquisti quando si è capito che i supermercati avrebbero continuato a rimanere aperti. Ciò che è stato penalizzato all’inizio sono stati tutti i prodotti ad alto valore aggiunto, i piatti pronti che assicurano un risparmio di tempo in cucina. È un fenomeno che è durato poco per coloro che hanno proseguito l’attività lavorativa. Gestire da casa, famiglia e lavoro non è facile, la pausa pranzo resta sempre di un’ora, e allora si è ritornati all’acquisto graduale di prodotti a maggior servizio.

Abbiamo visto in questi mesi bandiere alle finestre, inni cantati al balcone. C’è stata una voglia di italianità anche a tavola?

C’è del vero, ma anche un po’ di retorica. Una parte della popolazione ricerca prodotti con forte identità nazionale, sopra media la popolazione a più alto reddito e istruzione, ma gli stili di consumi sono tanti ed è difficile generalizzare. Il valore dell’italianità, di per sé, non è sufficiente perché non è vero che la qualità derivi solo dalla materia prima o dalla produzione italiana. In questo senso la marca dell’industria e della distribuzione giocano un importante valore nella rassicurazione e garanzia per i consumatori. Anche leggere l’etichetta è importante, perché contiene utili informazioni nutrizionali e sul produttore. Come italiani, abbiamo una tradizione che deriva dai Consorzi di tutela, che sono sinonimo di qualità nella geografia. Altri, come gli inglesi, badano più ai contenuti nutrizionali che all’origine, sarà per questo che le loro certificazioni di qualità come la “Brc”, sono diventati standard internazionali de facto e oggi conducono battaglie politiche sulle etichette nutrizionali.

La crisi sanitaria è ora crisi economica che ha accentuato le differenze tra chi ha risparmiato e ha potuto acquistare prodotti gourmet e chi si è rivolto ai discount. Come vede questa polarizzazione?

È vero che la pandemia ha indotto lo Stato ad accrescere il proprio rapporto tra debito pubblico e Pil di 30 punti percentuali. Però ciò ha permesso di proteggere più posti di lavoro, soprattutto quelli a tempo indeterminato. Le minori occasioni di spesa, il timore del futuro e la protezione del lavoro ha permesso l’accumulo di risparmio da parte delle famiglie e si spera che questa massa di denaro possa tornare a fluire sostenendo la ripresa. 

E cosa c’è alla base del successo dei discount?

Per capire il fenomeno bisognerebbe chiarire cosa significhi il termine discount oggi. Il concetto stesso di low cost (“perché spendere di più?”) è stato efficacemente sdoganato in tanti settori oltre al commercio, come le compagnie aeree o le assicurazioni auto online perché le insegne di questo segmento hanno fatto molto per modificare il proprio immaginario

La società ha metabolizzato il compromesso offerto da questi efficienti modelli commerciali, e li ha accettati. Questi fenomeni non sono una novità: anche quando hanno aperto i primi supermercati negli anni Sessanta i clienti si scandalizzavano del fatto di dover imbustare da soli la spesa. Si comprendeva però che servirsi da soli partecipava a un risparmio che valeva lo sforzo. Al di là delle opportunità di convenienza, tuttavia, speriamo tutti in un celere ritorno all’economia pre-crisi. 

Pandemia e consumi

Quale la responsabilità sociale delle imprese in questo senso?

L’industria del largo consumo ha un intrinseco ruolo di protezione del potere di acquisto. In ogni settore in cui la distribuzione sia diventata moderna si è assistito ad un calo dei prezzi e ad un allargamento della scelta. 

Oggi tuttavia questo non basta, e il regresso dello stato sociale induce le imprese a prendere posizione su aree sempre più controverse del dibattito civico. Pensiamo all’evoluzione del concetto di responsabilità sociale d’impresa, che va oltre il “green” (un aspetto ormai sdoganato), e che ora lambisce le nuove frontiere dei nuovi diritti civili. Pensiamo ai messaggi di alcuni marchi sull’identità di genere o sull’inclusione delle diversità che non vogliono scandalizzare, ma far riflettere. Attraverso la comunicazione intelligente, le imprese hanno la capacità di spiegare la trasformazione sociale, talvolta meglio della politica. Pensiamo alle pubblicità delle lavastoviglie che negli anni settanta mostravano modelli femminili che non dovevano per forza identificarsi nelle ritualità domestiche tradizionali per essere mamme e donne realizzate.  

A proposito di green, la pandemia ha fatto registrare un boom di vendita di bicilette ,e-bike ,monopattini elettrici, così come una crescita dei prodotti bio, vegan, healthy. È una moda momentanea o resterà?

Nell’alimentare i prodotti bio sono da anni in crescita. Anche la politica agricola comunitaria ne favorirà lo sviluppo, ma la sfida sarà la democratizzazione di questi prodotti, anche nel prezzo. Più in generale per avere successo servono pochi messaggi chiave di rassicurazione sulla qualità e sull’origine dei prodotti. Non sono sicuro che decodificare molteplici simboli in etichetta, o indagare come Sherlock Holmes un QR code, sia ciò che i consumatori intendano per “fiducia nel prodotto”. 

Sul fronte della mobilità siamo entrati in una stagione di prossimità negli spostamenti e di progressivo invecchiamento della popolazione. Bici e monopattini, soprattutto se favoriti da bonus fiscali, sono intonati con i bisogni di oggi.

Dopo la crescita esponenziale delle vendite online per i beni di largo consumo, avremo ora più voglia di tornare a frequentare i negozi di prossimità e i mercati?

C’è sicuramente voglia di relazioni, e credo che si tornerà a frequentare i luoghi di socialità, bar, ristoranti e sale da ballo. L’industria dei consumi fuori casa si fa però ogni anno più competitiva, con forte mortalità dei soggetti economici meno preparati. 

Con il Covid abbiamo fatto della nostra casa un nido, una palestra, un ufficio. Spendiamo di più per renderla più confortevole?

Certamente sì e lo dimostrano i dati di acquisto di mobili, prodotti per il bricolage e per la piccola manutenzione domestica. Anche in questo caso gli incentivi statali aiutano: sono tra i pochi esempi di fiscalità basata sul contrasto di interessi tra le parti, e che contribuiscono all’emersione del sommerso.

Pandemia e consumi

Parliamo di abbigliamento e calzature: è cambiata la modalità di acquisto?

Il settore della moda di consumo è stato molto colpito dalla pandemia, ma in realtà vive una lunga transizione. Il fashion si è fatto molto veloce, lo spazio per l’abito formale - soprattutto maschile - si è ridotto, e gli stili sono tra loro meno riconoscibili. Mediamente, le famiglie italiane hanno ridotto la propria spesa di 500 euro all’anno negli ultimi 10 anni e l’online sta crescendo molto, permettendo di intercettare una parte dei consumi contemporanei. Le catene di approvvigionamento, molto lunghe, e la gestione del fine vita del prodotto, stanno inducendo a migliorare la sostenibilità di questa industria.

Difficile trovare una nota positiva in questa crisi pandemica, ma possiamo dire che ha aiutato l’Italia a svecchiare da un punto di vista tecnologico?

Assolutamente sì, la pandemia ha indotto le famiglie a innovare il proprio parco informatico installato. Il collo di bottiglia, però, è la connettività perché tanti comuni non hanno ancora buone coperture di rete. 

Per avere un’idea delle opportunità offerte dalla rivoluzione digitale, si pensi alle modalità di prenotazione della vaccinazione e di ottenimento del green pass. In un anno abbiamo colmato un gap lustrale nei servizi della pubblica amministrazione. 

Forse un domani parleremo del “modello pandemia” per citare un grande sforzo corale dello Stato, come chiamiamo “modello Genova” la costruzione veloce del viadotto dopo la tragedia.

Lei ha moderato una serie di webinar per Assolombarda per raccontare pandemia e consumi. Ci saranno altri appuntamenti?

In autunno affronteremo i settori della cosmetica e dell’industria dei mezzi di comunicazione. La cosmesi è un settore che ha sofferto per la pandemia, ma l’Italia ha un grande know-how produttivo ed ha ciò che serve per ripartire. Il mondo della comunicazione è in continua evoluzione e le aziende più innovative ci racconteranno i nuovi canali che stanno esplorando per raccontare i loro prodotti.

 
 
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