È quello che Giuseppe Bonomi, amministratore delegato di Arexpo (la società incaricata di sviluppare l’area liberata dai padiglioni di Expo 2015), chiama “caposaldo”, l’ultimo dei tre attorno ai quali sta prendendo forma il progetto.
Proprio il trasloco a nord-ovest di alcune facoltà, aprirà a nord-est la possibilità di una riqualificazione e di un rilancio per Città Studi. Un nuovo tassello nel mosaico di trasformazioni che negli ultimi anni hanno cambiato volto alla città. Ne abbiamo parlato proprio con Bonomi, chiedendogli di tratteggiare il percorso compiuto e le prospettive per il prossimo futuro.
Partiamo dall’inizio. Come si presentava la situazione delle aree una volta concluso Expo 2015?
Era un quadro in chiaroscuro, come sempre. Da un lato potevamo contare sulla spinta positiva di Expo 2015 in termini visibilità e reputazione internazionale della città e su un’idea embrionale di sviluppo dell’area concepita dal governo, senz’altro molto ben tagliata sul profilo della città, come quella di un polo di ricerca dedicato alle scienze della vita. Dall’altro, le criticità: quella stessa idea riguardava una porzione estremamente limitata dell’area, 40mila mq su circa un milione; dovevamo fare i conti con un precedente non entusiasmante, il fallimento della gara del 2014 per la vendita in blocco dell’area; infine, c’era un vincolo di carattere economico-finanziario molto stringente che rendeva del tutto inimmaginabile l’ipotesi di affrontare autonomamente l’investimento di oltre 2 miliardi richiesto per lo sviluppo dell’area.
Avevamo dunque bisogno non solo del master plan, ma anche di un soggetto privato per attuarlo.
Proprio la necessità di ricorrere al mercato è stata l’occasione per mettere a valore una caratteristica peculiare del profilo di Arexpo e del suo management: la capacità di saper parlare due lingue, quella dell’impresa e quella della pubblica amministrazione, potendo così svolgere efficacemente la funzione di ponte tra mondi che spesso faticano a comunicare.