Due trentenni. Nella corte più splendida che si possa immaginare. «Una delle più belle terre al mondo, e di maggior valore, tolte le gravi imposte che su essa pesano», osserva Philippe de Commynes, 'inviato speciale'. Il gentiluomo e politico d'origine fiamminga arriva nel Milanese sul finire di quel secolo. La presa del potere da parte degli Sforza è stata preceduta da alcune rivoluzioni esemplari. La rivoluzione demografica continuerà sino a metà Cinquecento. Già moderno, il carattere dello Stato territoriale, nonostante la limitata estensione. E ben prima dell'high farming di Paesi Bassi e Inghilterra, nelle pianure attraversate dai canali di Lombardia una rivoluzione agricola di modello capitalistico ha favorito anche un notevole sviluppo manifatturiero. Il tutto in un clima di scoperte scientifiche e tecniche: è l'epoca in cui centinaia d'italiani riempiono i loro album di progetti di macchine mirabolanti.
Come i grandi fiumi dell'immenso oceano, gli ingegni accorrono. E non è solo la fama di opulenza e signorile ospitalità del Ducato ad attrarre Leonardo. La valutazione dei tempi gli fanno prediligere un uomo nuovo come il Moro, che all'equilibrio del fiorentino Lorenzo de' Medici preferisce una via di potenza, raccogliendo nella sua persona il significato rinascimentale di virtù come unione di forza, astuzia e successo individuale. Altri artisti scelgono Roma. Leonardo invece è certo che Milano gli offra la possibilità di diventare artefice dei tempi nuovi. La sua famosa lettera di presentazione non è un'istanza di servigi. Piuttosto, una professione di fede in se stesso. Artista liberale, esercita le arti da uomo libero. Risoluto a farsi strada malgrado ogni contrasto d'invidiosi avversari. Una sfida, un gesto d'orgoglio, tanto il tono risulta netto, reciso. Fatale, per uno come lui, curioso anche degli uomini, l'attrazione per il principe lombardo, perfido e delicato, vigliacco e generoso, feroce e benevolo, impulsivo e tormentato. Un sognatore ambizioso, Ludovico. Chissà se nell'impossessarsi di Genova ha intuito che lo slancio milanese, per diventare infine rivoluzione industriale, deve accentuarsi in grande regno, cercare un'apertura sul mare e sull'esportazione internazionale. Certo, nello specchio limpido e misterioso del desiderio di sfidare il limite, i due trentenni si riflettono reciprocamente. Congeniali. E si tendono la mano.
Genio e Impresa. Affinità elettive. Indissolubile interdipendenza. Fino al 1499, quando Milano sarà occupata dal re di Francia, il rapporto, non commerciale, tra il committente, ansioso di affermare la magnificenza dinastica, e l'inventore, che osserva da scienziato e crea con la fantasia, contrassegna la città alle soglie di ciò che gli storici chiamano età moderna. Disperante, la scarsità di dati, documenti, realizzazioni tangibili. Ma si sa che, almeno in via teorica, Leonardo lavora per vent'anni al Castello di Porta Giovia, prevenendo, o suggerendo, un gran numero di soluzioni che saranno alla base di fortificazioni del XVI secolo. E partecipa all'andirivieni di architetti e ingegneri, italiani e stranieri, intorno a quella torre di Babele che è il tiburio del Duomo. E si applica al risanamento urbano ed edilizio. E progetta armi: la grande fonte di ricchezza per il Ducato. E disegna macchine per i battiloro: i broccati lombardi soddisfano il 90% delle richieste in Europa. E mette in scena 'il Paradiso', in una festa memorabile, per il Moro e i suoi ospiti. E medita nelle campagne di Vigevano, dove si espande un'agricoltura più razionale, e chi ha progetti d'investimento e miglioria è incoraggiato da speciali normative, mentre è punito con aggravi fiscali il proprietario di case e fondi lasciati a dormire.