Sogniamo la ripartenza, ma non abbassiamo la guardia

L’”incendio” che ha travolto la Lombardia, la ricerca di un vaccino e di cure efficaci, le imprese italiane e il sistema sanitario che “marciano a braccetto” in questa “guerra” senza confini. Il ruolo delle tecnologie e quello, fondamentale, che ciascuno di noi deve assumere per sconfiggere il coronavirus.

Alberto Mantovani, immunologo di fama internazionale e direttore scientifico dell’Irccs Humanitas, scienziato rigoroso, alpinista, nonno di otto nipoti, sogna, come tutti noi, un ritorno alla normalità, ma con i piedi ben ancorati a terra. Un percorso lungo, racconta, durante il quale, affidandoci alla scienza, all’intraprendenza del nostro sistema produttivo e a comportamenti responsabili, “non dovremo mai abbassare la guardia”

Professore, a due mesi dall’inizio dei contagi in Italia si parla di ripartenza, di fase 2. È legittimo o è troppo presto? Come dobbiamo affrontarla?

Partiamo da un fatto: vivendo in una struttura ospedaliera sono in stretto contato con medici in prima linea e proprio grazie al confronto con i colleghi in trincea ho la netta percezione che la pressione sui pronto soccorso e sulle terapie intensive si sia effettivamente allentata. Stiamo vedendo la luce in fondo al tunnel, questo è certo. Dire quando sia giusto ammorbidire le misure fin qui applicate non è compito mio, ma di chi, con competenze di salute pubblica ed epidemiologia, ha il compito di guidare le decisioni sia a livello centrale che locale. Un ruolo verso il quale nutro grande rispetto, soprattutto in questo momento difficile. Dal mio punto di vista ora la sfida è come accompagnare la ripartenza, consapevoli che dovremo convivere ancora per molto tempo con le misure di distanziamento sociale. In Lombardia stiamo subendo un fenomeno paragonabile a quanto successo quest’autunno in Australia: un incendio devastante dopo il quale si riaccendono tanti fuocherelli. Dobbiamo essere pronti a bloccarli. E per programmare questa fase, evitando che divampino ancora, è fondamentale il supporto delle tecnologie. Da una parte quelle informatiche che, a discapito della rinuncia ad una parte della nostra privacy, mappando i contatti ci aiuteranno a identificare eventuali nuovi focolai; dall’altra le tecnologie diagnostiche che, ad esempio, possono aiutarci a migliorare l’utilizzo dei tamponi, velocizzandone le prestazioni. La scienza, la medicina e l’industria stanno facendo la loro parte, i cittadini devono fare la loro con comportamenti responsabili

Perché la Lombardia è uno dei territori più colpiti al mondo?

La regione si è trovata al centro di uno tsunami, altre aree dell’Italia e dell’Europa hanno subìto onde di entità incomparabilmente più bassa. È un fatto, siamo al centro del ciclone. Dopo di che - è un altro fatto - sono stati commessi errori a tutti i livelli e che dovranno essere analizzati una volta superata l’emergenza. Penso ad esempio ad interventi poco tempestivi in alcune aree come la Bergamasca, dovuti probabilmente alla difficoltà di decidere in tempi rapidi come combattere un nemico velocissimo. Oppure alla sottovalutazione iniziale della pandemia da parte di tutta la comunità occidentale: abbiamo subìto l’atteggiamento dei molti Don Ferrante che, tra persone con qualche competenza tecnica e capi di stato, ci hanno spiegato che si trattava solo di una banale influenza. Era invece chiaro fin da subito che stavamo assistendo ad un dramma, bastava guardare i dati di Wuhan. E bastava analizzare fin da subito quanto stava accadendo qui in Lombardia, una delle regioni con il sistema sanitario più avanzato del pianeta. ll nostro Paese è purtroppo quello che ne ha pagato maggiormente le conseguenze, ma complessivamente è il meno colpevole. Siamo stati la prima democrazia che ha avuto il coraggio di scegliere il lockdown. 

Quando, verosimilmente, si troveranno un vaccino e una cura efficace?

I primi passi sono stati fatti. Ci sono centinaia di candidati vaccini nel mondo, dove il contributo dell’industria italiana è di altissima qualità, ma in un contesto pandemico come questo ogni previsione è un azzardo. Una volta scoperto il vaccino bisognerà renderlo disponibile per centinaia di milioni di persone. Mi auguro un percorso saggiamente accorciato: sarà necessario velocizzare senza saltare passaggi ineludibili come la dimostrazione di efficacia e sicurezza. In un Report su Covid-19 dell’Accademia dei Lincei a cui ho contribuito si parla di diciotto mesi, una tempistica verosimile. Per quando riguarda le terapie, non si troverà “la cura”, ma si otterrà un miglioramento delle cure. Io sono un piccolo alpinista e ragiono così, si va su tiro di corda dopo tiro. È così che abbiamo cambiato la sopravvivenza contro il cancro ed è così che succederà con questo virus. Anzi, sta già accadendo: sono state messe a punto molte sperimentazioni cliniche effettuate con rigore, non soltanto terapie empiriche. E penso che la frontiera sarà la personalizzazione delle cure, anche se di questo si parla poco

Sogniamo la ripartenza, ma non abbassiamo la guardia - Intervista al Prof. Alberto Mantovani, immunologo e direttore scientifico dell’Irccs Humanitas

Nel frattempo, i test sierologici possono aiutarci a convivere con il virus?

Se incrociati, ad esempio, con i tamponi e utilizzati saggiamente in alcune situazioni particolari possono accompagnare la ripartenza. Ma, attenzione, non parliamo di “patente di immunità” perché è fuorviante e pericoloso. Per chi, ad esempio, esce dall’ospedale dopo la malattia ed è negativo al virus il test sierologico può costituire un foglio rosa, di certo non una patente. Perché dobbiamo ricordare alcune cose sugli anticorpi: non sono da soli un test diagnostico, visto che la risposta contro questa malattia è molto lenta e la loro presenza non esclude quella del virus. Con le tecnologie che abbiamo adesso gli anticorpi ci mettono fino a 20 giorni a comparire dopo l’esposizione e ci mettono fino a 15 giorni a comparire dopo la comparsa dei sintomi. Al momento, dunque, non abbiamo dati certi e dire a qualcuno “hai gli anticorpi” può indurre a comportamenti irresponsabili, come l’abbandono delle mascherine o del distanziamento sociale. Questo non deve assolutamente accadere. Adesso, con la consapevolezza che i dati illustrati ogni giorno sono soltanto la punta dell’iceberg, è importante capire quante persone sono state realmente esposte e che livello di immunità di gregge potremmo aver raggiunto

Che ruolo sta giocando l’industria italiana in questa partita contro il Covid-19? La sinergia tra pubblico e privato è una carta su cui scommettere?

Il patrimonio dell’industria italiana è straordinario. Le nostre aziende hanno messo a punto test rapidi e affidabili per il virus, stanno sviluppando i test sierologici e sono in corsa per i vaccini. E stanno lavorando in un contesto in cui pubblico e privato marciano a braccetto. Faccio qualche esempio: lo sviluppo del test sierologico che in questi giorni avrà il marchio CE è nato dalla collaborazione tra l’ospedale San Matteo di Pavia e l’azienda Diasorin, un altro progetto di ricerca per lo sviluppo di anticorpi è il frutto della collaborazione non convenzionale tra lo Spallanzani e la fondazione Toscana Life Sciences. Non solo, uno dei lavori più importanti mai pubblicati sui pazienti in terapia intensiva, uscito su JAMA, Il Journal of American Medical Association, porta tra le altre la firma di Antonio Pesenti, che guida una struttura pubblica come l’Unità di crisi di Regione Lombardia e viene dal Policlinico di Milano, e di Maurizio Cecconi, un “cervello” rientrato in Italia non a caso in una struttura privata come l’Humanitas. Avere una squadra di studiosi, un’industria farmaceutica, diagnostica e di vaccini in casa è un patrimonio incredibile ed è proprio da qui che arriva quell’innovazione che è un’arma contro il virus. Uno strumento che nasce, in moltissimi casi, proprio dalla sinergia tra pubblico e privato. 

Prima dell’arrivo di un vaccino come cambieranno le nostre vite?

Non dovremo mai abbassare la guardia: le partite si chiudono al novantesimo, a volte ai supplementari o persino ai rigori. Se si abbassa la guardia perché si crede di aver vinto, la fatica fatta fino ad ora sarà vanificata. Dobbiamo continuare ad assumere atteggiamenti responsabili. Il nostro Paese ha una struttura familiare molto salda e richiede ai più forti della nostra popolazione un esercizio maggiore di responsabilità, per proteggere se stessi e i più deboli. Abbiamo il compito di preservare il nostro capitale umano, con un occhio di riguardo verso i più fragili e monitorando la forbice sociale. Non bisogna perdere di vista sia la povertà materiale di chi, oggi più che mai, non ha da mangiare o da pagare le bollette, sia la povertà culturale di quei bimbi, ad esempio, che non hanno i pc per seguire le lezioni scolastiche a distanza. L’impoverimento culturale di questi piccoli ne mette a rischio anche la salute: ci sono studi epidemiologici che spiegano che nell’impatto sulla salute la povertà culturale pesa anche di più di quella materiale. 

Come saranno la sua, la nostra estate?

È un po’ presto per dirlo, ma voglio immaginarmela in montagna, in Valle d’Aosta con i miei nipoti. Al più grande, a dicembre, ho promesso di prendere picozza e ramponi e di portarlo sul ghiacciaio. Con tutte le dovute precauzioni e sicurezze spero di poter mantenere la promessa. Ecco, magari non potremo dormire in un rifugio, ma una passeggiata potremo permettercela. Altro discorso è per il mare della Grecia, altro posto del cuore: raggiungerlo sarà un po’ più dura. Dobbiamo stare con i piedi per terra, ma sognare è lecito, anche con la mascherina sul viso.

 
 
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