La comunicazione interna come leva per fare rete in azienda e creare valore

di Filippo Poletti

18 novembre 2020

Più smart working, più comunicazione interna aziendale. Per lavorare “agilmente” dobbiamo anche comunicare più “intelligentemente”. Lo impongono i tempi moderni, inaugurati dall’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus: se fino all’autunno del 2019 l’Osservatorio del Politecnico di Milano sullo smart working contava in Italia mezzo milione di lavoratori agili, l’arrivo della pandemia ha più che triplicato questa cifra, portandola – secondo il Ministero delle Politiche sociali – a più di un milione e 800 mila lavoratori attivi in modalità di “lavoro agile”. 

Per ragioni sanitarie, dunque, gli uffici sono stati “smembrati”. La diffusione dello smart working - accompagnata dalla temporanea semplificazione degli adempimenti normativi previsti per la sua attivazione - ha salvato tanti posti di lavoro e, allo stesso tempo, ha realizzato il desiderio di molti professionisti di poter ottimizzare, sincronizzandola, la propria agenda privata e lavorativa. La soddisfazione generale è testimoniata da un sondaggio effettuato dalla società Wyser durante l’estate, secondo il quale quasi due lavoratori su tre sarebbero disposti a cambiare lavoro pur di non rinunciare allo smart working. 

Se il bilancio degli smart worker è positivo (piace l’“umanizzazione del lavoro”), altrettanto è quello delle aziende (collaboratori più felici, collaboratori più produttivi), salvo risolvere alcuni “bachi” del “sistema agile”. Si è parlato, ad esempio, della necessità di introdurre in azienda la figura del “capo del lavoro da remoto” o “head of remote work”.

Ne ha riflettuto in articolo, pubblicato su Linkedin, Darren Murph, “head of remote” negli Stati Uniti, ripreso da tante testate italiane. La formula prospettata dal giornalista americano non è risolutiva, a mio avviso, della mancanza di confronto quotidiano causata dallo smart working. Pensiamo a realtà lavorative di medie e grandi dimensioni: siamo sicuri che uno, due o pochi “capi del lavoro da remoto” sarebbero in grado di arginare la perdita di informazioni e relazioni dovuta all’estrema polarizzazione di centinaia o migliaia di posti di lavoro? Se lo smart working è benvenuto (laddove la sua adozione sia praticabile), non si può dire altrettanto della perdita di unità al lavoro. 

Più smart working, più comunicazione interna aziendale

C’è chi, correndo ai ripari, ha introdotto il “virtual coffee break”. Altri il “check in” e il “check out” tramite un canale su Slack, programmandoli all’inizio e alla fine della giornata.

Nel libro “Tempo di IoP: Intranet of People” suggerisco di spostare l’attenzione dalla tattica alla strategia, invitando ad andare al nocciolo della questione: dato per assodato lo “smart working” come una nuova forma di welfare o benessere della persona, lo sviluppo della comunicazione interna aziendale assume il carattere di priorità assoluta. Se fino a ieri era considerata in Italia (salvo eccezioni) una “Cenerentola”, oggi rappresenta la leva per unire le forze e ripartire. 

Giorno dopo giorno occorre alimentare quel “comun sentire” che fa di un’impresa una realtà coesa, dove le persone condividono le sfide del presente e mettono a fattor comune la voglia di fare bene. 

Prima di concentrarci sul mezzo da utilizzare, occorre chiarire il fine della comunicazione interna. Anzi, le cinque finalità, rispettivamente la promozione del bene comune all’interno della nostra azienda, la diffusione della partecipazione (come cantava Giorgio Gaber nel 1973, «libertà è partecipazione»), il sostegno della formazione continua (perché chi si forma non si ferma), del welfare dei collaboratori e, infine, della sostenibilità del fare impresa, intesa come adesione ai principi dell’economia circolare o, come dicono taluni, sferica. 

È solo dopo aver riflettuto sui capisaldi che possiamo confrontarci sugli strumenti della comunicazione interna, avendo ben presente che il loro sviluppo richiede competenze manageriali (vietato partire senza aver calcolato i costi e aver definito i kpi o “key performance indicator”), così come competenze tecnologiche (l’analogico ha ceduto il passo al digitale con il suo universo di “skill” necessarie) e, last but not least, competenze comunicative: per comunicare occorre saper comunicare e avere il tempo di comunicare. La comunicazione interna non può essere considerata un semplice “add-on” per uno o più colleghi o collaboratori: non è detto che debba o possa diventare un lavoro “full time”, ma è assolutamente vero che essa ha bisogno di tempo per essere portata avanti e di un relativo “timesheet”. Come dicono gli inglesi, “nothing for nothing”: nulla di buono può sortire da un piano di comunicazione fatto con la mano sinistra, in qualche ritaglio di tempo. 

Più smart working, più comunicazione interna aziendale

Circa gli strumenti tecnologici da adottare, il digitale è dalla parte della comunicazione interna aziendale: possiamo condurla con una Intranet, arricchita ad esempio di podcast o di una web tv. Può essere fatta, volendo puntare su uno strumento antico come il marketing, con una newsletter: in questo caso dovremo essere consapevoli che realizzeremo una comunicazione “one-to-many” con limitate occasioni di dialogo, se non quelle tra chi produce la newsletter e chi la riceve. Mancherà, in sostanza, un vero e proprio “thread” o discussione basata sullo scambio tra le persone e la condivisione del loro “know-now”. Altre possibilità di comunicazione sono offerte dall’adozione di un’applicazione mobile oppure di un social media come Telegram tramite la creazione di un canale o di un gruppo chiuso. Quest’ultimo servizio offre la possibilità di garantire la riservatezza dei numeri di telefono e di allegare file di grandi dimensioni fino a 1,5 gigabyte con l’ausilio di didascalie e “hashtag”. 

A ciascuno, dunque, la sua comunicazione interna. A ciascuno la scelta di come e con chi farla per fare squadra in azienda. Serviranno “hard skill” (come abbiamo visto) e “soft skill”, prima fra tutte la capacità di creare empatia o relazioni positive. E occorrerà fare propria la regola delle “tre P”: passione, perseveranza e pazienza.

Portiamo avanti la comunicazione interna con tutto noi stessi, costruendola giorno dopo giorno con un piano di contenuti multimediali e sapendo che chi va piano va sano e va lontano. Il lavoro, oggi più che mai, ha bisogno di team uniti. A questo, come fosse un “basso continuo” di una partitura, può contribuire la comunicazione interna. È tempo di intranet of people, di fare rete in azienda.

 
 
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