La più grande forma di diseguaglianza è quella di privare i giovani del loro futuro, così Mario Draghi ha definito il momento che molti giovani stanno vivendo a seguito della pandemia e sulle cui spalle graverà il peso delle decisioni prese oggi. E questo vale, purtroppo, sia per quanto attiene chi attualmente sta lavorando (perché esposto più di altre generazioni a situazioni di precarietà) sia chi sta affrontando l’ultima parte del percorso di formazione in Italia o all’Estero.
Partendo da questa considerazione, PwC e Talents in Motion hanno voluto approfondire alcuni aspetti legati all’impatto della pandemia sulla società intervistando un panel di giovani “talenti” il 75% under 35 e il 95% espatriati all’estero, nella convinzione che essi rappresentino un potenziale che il nostro Paese dovrebbe valorizzare e cercare di attrarre.
L’indagine quantitativa (circa 1100 gli intervistati) svolta dall’ufficio Studi PwC nell’imminenza della fine del primo lockdown (giugno 2020) ha cercato di capire se e come la pandemia abbia influenzato gli stili di vita e i percorsi professionali di questi giovani, con particolare riferimento alla loro propensione al ritorno in Italia, alle aspettative sul futuro e a la loro visione sulla nuova organizzazione del lavoro. L’attività ha interessato in maniera considerevole i partecipanti tanto che alcuni di loro hanno continuato, nei mesi successivi alla presentazione dei risultati, a far avere a Talents in Motion il loro punto di vista in occasione di panel qualitativi svoltisi nei mesi di settembre e novembre.
La prima indicazione rilevante, analizzando le risposte, è che la pandemia ha rafforzato la propensione al rientro in Italia per il 20% degli intervistati e ciò è avvenuto soprattutto in conseguenza di un cambiamento nelle loro priorità.
Se prima la scelta di tornare nel Paese di residenza veniva dettata dalla possibilità di fare “carriera”, oggi la possibilità di restare vicino alla famiglia e la maggiore sicurezza “sanitaria” percepita diventano elementi rilevanti a favore del rientro in Italia (segnalati come tali, rispettivamente, dall’82% e dal 50% degli intervistati).