La sostenibilità non è una scelta singola ma un sistema. E per le piccole e medie imprese è un fattore determinante per sostenere mercato e concorrenza. Perché le aziende, grandi e piccole, che affrontano il mercato con tutte le esigenze proposte dai consumatori, cercano sempre fornitori che, a loro volta, siano sostenibili. Questo favorisce filiere di aziende sostenibili che in questo modo aumentano il ranking tenuto conto che dal 2026 sarà obbligatoria la presentazione di un bilancio di sostenibilità, che, con riferimento all’anno fiscale 2025, diventerà obbligatoria per le aziende con più di 250 dipendenti. Resta aperta la soluzione per le piccole e qui l’Unione europea dovrà esprimersi. Per le Pmi la sostenibilità fa rima con competitività.
La sostenibilità sta diventando determinante anche per gli istituti di credito, perché è sinonimo di sicurezza imprenditoriale e anche così si spiega il boom dei fondi ESG, infatti le aziende sostenibili mostrano una durata e una solidità che le altre non hanno. Anche in banca un’azienda non sostenibile che va a chiedere un prestito, può essere considerata alla stessa stregua di un cattivo pagatore e quindi si concretizza un problema reale, non solo di tendenza. In pratica se non sei sostenibile rischi di uscire dal mercato.
Per comunicare sostenibilità l’abc è lo stesso per i grandi come per i piccoli. La prima cosa da mettere a fuoco è la trasparenza, se sei ambiguo scivoli verso green washing, che è quella bruttissima pratica di raccontare cose non vere (ci si gioca la credibilità del brand). L’altro fattore è la possibilità di misurare quanto prometti in termini di sostenibilità: la misurabilità infatti è fondamentale. Lo strumento principe per comunicare è il bilancio di sostenibilità, che contiene tanti numeri ma soprattutto racconta il percorso che l’azienda ha scelto per raggiungerla. Ma c’è un punto che va chiarito: la sostenibilità (assoluta) non esiste, c’è un percorso che, in divenire, descrive le performances dell’azienda.
Quando nel 2016 la sostenibilità è diventata quasi una moda, improvvisamente abbiamo scoperto che una infinità di aziende, sulla carta, erano sostenibili. Per qualcuno bastava inquinare un po’ meno, in fondo. In realtà non era e non è così. Alcune imprese sono convinte che basti un bollino in più nella “conciliazione” del personale senza badare però al versante ambientale: così non va bene. La sostenibilità va letta a 360 gradi, non basta osservarne un pezzo, va vista nell’insieme delle pratiche ESG.
In qualche caso la sostenibilità può essere un fattore distorsivo della competitività e succede quando la sostenibilità viene applicata in modo talebano, magari da burocrati e non da tecnici, che spesso ottengono degli effetti in realtà insostenibili e talvolta che favoriscono alcune tipologie di gruppi industriali o nazioni rispetto ad altre. Succede quando vengono generate delle leggi soprattutto a livello europeo molto miopi che tengono in considerazione solo una parte degli elementi che compongono la sostenibilità. Magari troppo spostate verso l’ambiente, ma dimenticandosi delle conseguenze sull’aspetto sociale come i posti di lavoro o il costo per raggiungere determinati obiettivi.
*Giornalista, docente al corso di Laurea in Scienze Umanistiche per la Comunicazione, Università degli Studi di Milano. È autore del libro: Comunicare la Sostenibilità – Oltre il Greenwashing (2022) edito da Hoepli.
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