Mezzo secolo di storia, due stabilimenti a Sulbiate e a Radinovo, nel distretto di Plovdiv in Bulgaria, una specializzazione nell’ideazione e realizzazione di minuterie metalliche trancia-piegate da nastro e filo, contatti elettrosaldati, componenti assemblati. Virma è una fabbrica moderna e attrattiva, cresciuta nel tempo con un bassissimo turnover tra gli addetti alla produzione e oggi in piena espansione. I Clienti hanno i nomi di Bticino, Gewiss, Schneider, ABB, Siemens. I pezzi lavorati sono passati da 456 milioni nel 2020 a 608 milioni lo scorso anno.
Serena Agostini, amministratore delegato e figlia del fondatore racconta con passione la vita in fabbrica.
50 anni di storia. Come si riassumono?
La società nasce dalle ceneri della Maprod, un’industria confiscata durante la guerra per la fabbricazione di munizioni. Mio padre Eraldo Agostini, era stato assunto come giovane ragioniere e nel 1972 con un socio fonda la Virma che racchiude nel nome la storia dell’impresa: le VIRole, ovvero la parte metallica dove si avvita la lampadina e MAprod. Nel 2007 il socio viene liquidato e l’azienda è totalmente in mano alla nostra famiglia. Nel 2008 diventa una Spa, raddoppia il capitale sociale, nel 2010 nasce lo stabilimento nuovo di Sulbiate su 16 mila metri quadri e nel 2013 apriamo anche in Bulgaria, 1500 metri quadri a Radinovo.
Come è stato il passaggio generazionale?
Graduale e ben preparato da mio padre già vent’anni fa. Ci siamo sentiti subito legittimati a fare le nostre scelte. È importante che ogni generazione assuma le proprie responsabilità e porti avanti le proprie scelte, anche a costo di passare notti insonni. Noi siamo tre sorelle, una è medico, l’altra insegnante. In azienda ci sono io che dopo la laurea in Economia mi occupo da sempre della parte commerciale, mio cugino è direttore tecnico dal 1989, mio cognato, ingegnere è entrato nel 2008. Siamo una grande famiglia, ma qui si entra solo se ci sono studi e competenze adeguati.
Quanti addetti?
53 in Italia, 7 in Bulgaria a monitorare il lavoro di 100 macchinari e in questo momento stiamo cercando personale, ma è difficile perché il nostro è un settore di nicchia.
Come li reclutate?
Una cosa che ho imparato da mio padre è la correttezza, quindi, non andiamo a sottrarre personale dai concorrenti, cerchiamo piuttosto di intercettare nuove forze nelle scuole. Incontriamo i ragazzi nel corso di programmi di apprendistato e progetti di alternanza scuola-lavoro. Trovo che spesso i ragazzi degli istituti tecnici o professionali diano il loro meglio proprio in fabbrica. Adesso, per esempio, abbiamo un giovane molto in gamba che dal lunedì al mercoledì viene in fabbrica con grande entusiasmo in bicicletta, il giovedì e venerdì a scuola va meno volentieri!
Quale è il profilo più richiesto?
Cerchiamo soprattutto diplomati dagli Istituti Tecnici, non abbiamo ancora fatto esperienza con gli ITS, ma potremmo iniziare per la parte meccatronica. La fabbrica sta diventando sempre meno meccanica e sempre più meccatronica.
La formazione avviene anche in fabbrica?
Sempre quando c’è l’acquisto di un nuovo macchinario, ma proponiamo anche corsi sulla saldatura che fanno tutti volentieri, su base volontaria, per arricchire il proprio curriculum.
Trova che l’attrattività della fabbrica sia calata dopo l’emergenza pandemica che ha portato soluzioni di smart working non praticabili per chi si occupa di produzione?
In realtà non vedo una grande differenza tra prima e dopo la pandemia. Noi continuiamo a cercare e a trovare ragazzi che mostrano attaccamento alla fabbrica, cerchiamo giovani che nella vita della fabbrica si possano riconoscere. Anche qui mi torna utile un insegnamento di mio padre: “Nel lavoro bisogna essere contenti dello stipendio che si guadagna, ma anche del lavoro che si fa”
Come riuscite ad applicare questa filosofia?
Trovo che sia importante che la fabbrica sia un luogo di aggregazione. Io stessa ogni mattina faccio un giro in produzione, incontro persone che sono qui da quarant’anni, che mi hanno visto crescere, in media abbiamo operai che sono con noi da almeno 15 anni. Cerchiamo di far crescere tutti responsabilizzandoli, premiandoli con gli incentivi, seguendoli anche nelle tappe della vita. Se devono comprare casa siamo spesso noi a fissare l’appuntamento in banca con il direttore, preparando il terreno. Qualche mese fa ero preoccupata per un problema di salute in famiglia e uno dei capi reparto è venuto da me e mi ha detto: “Devi reagire, abbiamo bisogno di te”. Ecco credo che un’azienda funzioni se è guidata da persone che sanno dove stanno andando.
Quanto conta la condivisione degli obiettivi aziendali?
Moltissimo. Noi facciamo regolarmente delle assemblee per raccontare come va l’azienda. La trasparenza su scelte e prospettive è fondamentale. Quando abbiamo deciso di aprire lo stabilimento in Bulgaria c’era molta preoccupazione, temevano tutti la delocalizzazione, invece, la Bulgaria è stato un volano importante per far crescere l’azienda.
E l’aspetto economico?
L’altro insegnamento di mio padre riguarda la puntualità nel pagamento dello stipendio. Non abbiamo mai sgarrato, nemmeno quando con la crisi nel 2008 abbiamo avuto un crollo del fatturato. Mai fatto un giorno di cassa integrazione, abbiamo usato quanto messo da parte negli anni migliori. Se gestisci l’azienda come una famiglia i risultati arrivano. Anche la flessibilità è importante: negli uffici siamo tutte donne, se c’è un problema con i figli sanno che possono lavorare da casa. Non serve contare il tempo di lavoro è molto più responsabile dire: “Mi fido di te” piuttosto che “sono qui a controllarti”.
Dopo mezzo secolo di storia quali sfide vi attendono?
Un nuovo salto dimensionale importante con tante scelte tutte aperte.
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