Intals
di Francesco Gastaldi
Diventare modello di economia circolare è un obiettivo che parte da lontano, per la Intals, uno dei maggiori produttori in Italia di leghe di alluminio. Addirittura nel 1922, quando il fondatore Vincenzo Vedani e il figlio Carlo aprono una fonderia per alluminio ricavato da scarti e rottami di altre aziende: un po’ per necessità (l’inflazione seguita alla Prima Guerra Mondiale) e un po’ per intuizione (l’alluminio stava diventando metallo primario per le richieste della nascente industria automobilistica). Un secolo dopo la Vedani Carlo Metalli si è trasformata in Intals: due stabilimenti - a Parona in Lomellina e la Somet ad Ambivere, nella Bergamasca -, oltre 260 addetti e 350 milioni di euro di fatturato e presenza commerciale in tre continenti.
Un gigante dell’alluminio “secondario” (cioè quello non prodotto da estrazione) costruito su una saga famigliare che dura da quattro generazioni. L’ultima, il pronipote Marco Vedani, guida l’azienda dal 2005 ed è anche il presidente di Assomet, l’associazione italiana che riunisce i produttori (più di mille) di metalli non ferrosi.
“Consideri che siamo tra i maggiori produttori d'Europa di alluminio secondario, ovvero riciclato e non estratto. L’alluminio estratto da minerale è puro al 99,7 per cento ma non ha caratteristiche utili per essere usato in produzione, dove invece si trova sempre in lega con altri elementi, diversi a seconda degli impieghi. Quindi il primo grosso lavoro è la separazione del materiale alla fonte, oppure separarlo successivamente in modo da poter distinguere le varie tipologie di rottami e poi riqualificarli secondo il tipo di impiego più virtuoso. Questo processo richiede competenze, innovazione continua e macchine di separazione molto sofisticate. Importante anche l’operazione di sverniciatura: si pensi ad esempio alle classiche lattine colorate delle bibite. Le vernici usate sono materiale organico inquinante che viene bruciato nel processo di riciclo prima di mandare il rifiuto a fusione. Faccio un altro esempio: l’alluminio è un metallo che ossida molto facilmente, in questo caso un rottame molto “sporco” può essere fuso “sotto sale”, cioè in un bagno salino liquido. Le impurità, gli ossidi di alluminio che il sale trattiene noi li ricondizioniamo e li vendiamo ai cementifici. L’ossido di alluminio è un elemento base per il cemento. Davvero l’alluminio sposa la filosofia del riciclo al 100 per cento”.
“Nel campo dell’alluminio il processo di “economia circolare” si traduce nel reperire degli scarti da altre fabbriche e ricondizionarli attraverso il processo di fusione. A monte di questo processo ci sono tecnologie sviluppate negli anni per gestire il rottame nel modo più economicamente corretto e ambientalmente sostenibile, attraverso separazioni, sverniciatura, eliminazione di ogni componente organica prima di portarlo a fusione. Il ciclo si chiude solo se si riesce a essere virtuosi a 360 gradi. L’economia circolare e il recupero degli scarti si sposa a un’attenzione, oltre al rispetto delle norme ambientali, nel minimizzare ogni tipo di impatto verso l'esterno, attraverso investimenti nella tecnologia e nell’innovazione”.
“Lo è molto. L’alluminio riciclato si sposa perfettamente al tema della battaglia contro i cambiamenti climatici. Consideri che l’alluminio primario, cioè quello proveniente da estrazione, emette dalle 7 alle 12 tonnellate di Co2 per ogni tonnellata di metallo prodotta. L’alluminio secondario prodotto dal riciclo invece produce massimo 0,5 tonnellate di Co2 per tonnellata di materiale prodotta. L’impatto emissivo è fino a un ventesimo inferiore rispetto alla produzione alluminio primario. Ogni tonnellata di alluminio riciclato permette di evitare di immettere in atmosfera 7.000 kg di anidride carbonica e di consumare 16.000 litri di acqua, risparmiando il 95% dell’energia necessaria per produrlo partendo dal minerale”.
“Il grosso, circa il 60-70 per cento, è destinato all’automotive. Si figuri che già al mio bisnonno Vincenzo, nei primi anni del secolo scorso, la Bugatti fece una proposta di aprire una fonderia dedicata per produrre l’alluminio necessario ai loro motori e impianti frenanti. Il resto va a una moltitudine di impieghi differenti, dall’industriale all’elettrodomestico, ai radiatori per impianti di riscaldamento. Lo stabilimento di Parona è dedicato alla produzione di leghe da fonderia mentre a Bergamo produciamo billette per estrusione e placche da laminazione: si usano in prevalenza per serramenti in alluminio, tende da sole, pannelli fotovoltaici. Ma anche per macchinari complessi".
“Siamo al 50-50. Metà della produzione è destinata al mercato nazionale e metà a quello estero, in grandissima prevalenza a quello europeo. Una quota variabile, intorno al 10 per cento la esportiamo in altri continenti a seconda di opportunità e variabili, come il prezzo del metallo stesso. Normalmente esportiamo negli Stati Uniti e in Asia, in paesi come Giappone, Thailandia, Malesia. E Cina”.
“Sì ma la Cina ha tassi di crescita enormi, e la loro produzione non basta al loro fabbisogno. Inoltre si sono concentrati sulle produzioni ad alto valore, eliminando per legge l’importazione del “rifiuto”, rottami compresi. Preferiscono importare direttamente il prodotto finito. Parlavo di opportunità, poco fa. Ebbene per noi l’anno pandemico lo è stato perché abbiamo incrementato molto l’esportazione verso la Cina. Loro sono usciti dal lockdown mentre in Europa eravamo ancora nel pieno del dramma, e hanno ripreso a crescere velocemente. Le richieste di prodotti in alluminio che ci arrivavano dall’Oriente ci hanno permesso di non chiudere e di continuare a lavorare a livelli quasi pre-pandemia”.
Prima di continuare, si prega di inserire un indirizzo di spedizione valido