Si chiama stimolazione transcranica ma, anche se il nome potrebbe indurre a pensarlo, è una pratica minimamente invasiva, utilizzata in ambito medico e scientifico, in particolare da neuroscienziati e psicologi. Viene eseguita con varie tecniche, ampiamente studiate e collaudate, ma finora con poche ricadute terapeutiche. Ed è proprio qui che si inserisce l’attività di Cerebro, una startup innovativa in biotecnologie di Milano che opera nell’ambito delle neuroscienze. Avviata operativamente nel 2018, l’azienda ha iniziato subito a sviluppare strumenti elettromedicali di nuova concezione per la stimolazione cerebrale, pensati per le strutture che operano in ambito sanitario. «I nostri interlocutori», sottolinea la co-fondatrice e manager Federica Peci, «sono i professionisti del settore. Non ci rivolgiamo al pubblico o alle persone a cui sono destinati i trattamenti che abbiamo sviluppato, ma a coloro che hanno competenze, preparazione e autorizzazioni per erogarli».
L’idea di Cerebro, dice ancora Peci, «è nata dalla constatazione che nella riabilitazione delle persone che hanno subito danni cerebrali, per esempio da ictus o in seguito a incidenti, non esistono tecniche specifiche per intervenire su determinate funzioni, motorie o cognitive. La stimolazione transcranica le rende possibili. Noi quindi sviluppiamo tecniche innovative a beneficio dei paziente sia basandoci sulle nostre competenze interne sia collaborando con università, centri medici e specialisti di vari ambiti».
La prima di queste metodiche si basa sulla stimolazione magnetica transcranica, tecnica ampiamente conosciuta e applicata, ma per la quale Cerebro ha sviluppato una soluzione unica a livello internazionale. «Il nostro dispositivo», spiega Peci, «non ha bisogno di corrente elettrica per funzionare, ma utilizza la contrapposizione di due magneti per generare un campo magnetico statico. È efficace sia su persone che soffrono di disturbi neurologici, per stimolare aree della corteccia connesse a capacità motorie, al linguaggio o all’umore, ma anche su chi ha solo bisogno di “ricalibrarsi” un po’, per esempio per superare la fatica mentale di una vita troppo stressante».
Il dispositivo creato da Cerebro è riciclabile al 98% ed è pensato per agire solo sulle aree superficiali dell’encefalo. Il suo processo di sviluppo, sperimentazione e brevettazione si è fermato alla soglia del lancio commerciale, a causa dell’epidemia di Covid-19 ed è ripreso solo di recente.
Nel frattempo è stata messo punto un’altra innovazione in casa Cerebro: la NIR, sigla che sta per Near Infra-Red: «È un caschetto che consente una “fotobiomodulazione” delle cellule della corteccia cerebrale, cioè una “regolazione” cellulare benefica in grado di indurre un senso di benessere in pazienti affetti da malattie neurologiche» dice Peci. «Come hanno indicato studi condotti al MIT di Boston e ad Harvard, hanno effetti benefici anche sui sintomi dell’Alzheimer. Si è dimostrato efficace nella riduzione dei tremori del Parkinson e con chi ha fatto i conti con la nebbia cognitiva post-covid».
Intorno ai suoi progetti Cerebro, un’azienda tutta al femminile, ha avviato collaborazioni con 17 centri medici e ambulatori in Italia che utilizzano le sue metodiche e attivato convenzioni con varie università lombarde e con La Sapienza di Roma per la didattica e la formazione del personale che deve utilizzare i suoi dispositivi.
Inizialmente l’azienda doveva stabilirsi al Mind, il Milano Innovation District, una tra le oltre 100 aziende destinate a trasformare l’ex area Expo in un distretto ad alta densità tecnologica. Ma a causa della pandemia i tempi si sono dilatati. «Aspettiamo sempre che questa opportunità si apra», spiega Peci, «ma nel frattempo abbiamo avviato una strategia alternativa, che si concretizza ora con l’imminente apertura, a Curno, in provincia di Bergamo, di un centro di ricerca che diventerà uno spinoff per le università convenzionate con Cerebro. Le quali potranno affidare a questa struttura i loro studenti in cerca di un ambiente ideale per sviluppare nuove idee e, se lo desiderano, dar vita anche a nuove startup».
L’azienda ha inoltre avviato una collaborazione con una piattaforma web e tv, anch’essa in procinto di partire, che mira, dice Peci, «a fare divulgazione scientifica nel campo delle neuroscienze e delle loro applicazioni nella vita quotidiana. Inoltre siamo attivissimi nell’aprire sempre nuove collaborazioni con le università e nell’accogliere tirocinanti che si alternano, in cicli di tre o quattro mesi, e possono approfondire determinati studi o completare le loro tesi di laurea». Tra gli altri progetti in cantiere, infine, anche la registrazione di ulteriori due brevetti.
Quanto ai canali di finanziamento, «ci vantiamo», dice Federica Peci, «di non aver fatto ricorso a fondi o a incubatori di impresa, ma di essere stati capaci di inserire nella società, con loro quote, gli stessi pazienti che hanno tratto giovamento in terapia dalle nostre tecnologie. Persone che hanno creduto in noi, che hanno visto che le cose funzionano e che appoggiano il nostro pensiero. Ovviamente le difficoltà a trovare i fondi necessari alla ricerca ci sono. Per questo cerchiamo di trarre vantaggio dalle agevolazioni in ambito brevettuale e dei voucher d’impresa. E abbiamo appena inserito in organico una figura specializzata in fondi d’investimento e linee di finanziamento sia europee che nazionali. Si occuperà esclusivamente di questi aspetti, che richiedono competenze approfondite e un intenso lavoro».
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